sabato 23 novembre 2013

superfici



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Ripensando ai simulatori di critica postmoderna, ai simulatori di poesia eccetera, mi chiedo quanto disti, tecnologicamente, un'applicazione che raccolga ogni tuo intervento e commento in rete e processi tale accumulo non soltanto da un punto di vista lessicografico, ma anche sintattico e concettuale e quindi, aggiustando un adeguato insieme di pesi e soglie, ti produca un simulatore (parametrico) del tuo "tipico" argomentare. Il trovarsi incapaci di riconoscere fra 100 articoli-fake prodotti da tale simulatore una propria uscita "originale", suppongo ci assesterebbe una sorta di "colpo di grazia", persuadendoci che quell'oscura profondità dalla quale ci sembrano provenire le nostre stesse parole non sia altro che una fata morgana determinata dall'opportuna inaccessibilità alla coscienza dei processi psichici di base. Certo sarebbe agghiacciante constatare che questo possa riuscire facendo uso di una marionetta relativamente semplice. Ma moltiplicare la complessità richiesta per 10, 1000 o un miliardo di miliardi, cambia forse qualcosa, nell'essenza? La costernazione totale starebbe nel "riconoscersi" in un meccanismo "afferrabile", dissolvendo inaspettatamente anche l'explanatory gap.

L'altro giorno raccontavo ad un tizio, con piglio divertito, le stramberie di un sogno che avevo appena vissuto: soltanto che lo facevo all'interno di un altro sogno, e non lo sospettavo minimamente. Ieri notte ancora peggio: volevo uscire da un sogno riconosciuto come tale e non ci riuscivo in alcun modo: mi sentivo come un fantasma che avverte voci familiari ma non riesce a raggiungerle. Ad un certo punto mi son sentito afferrare per le braccia ed ho gridato "sì così, tirate forte adesso!!!" e, attraversando un bel po' di affanno, ne sono riemerso. Al buio, allungo la mano verso il comodino per controllare l'ora sul cellulare. Stimavo fossero le cinque ed invece era mezzanotte e mezza. Re-inabissatomi nel sonno, ne sono emerso alla sveglia delle sei, senza ulteriori fastidi. [Una volta facevo colazione in cucina, era l'alba e fuori era ancora buio. Mi affaccio alla finestra per vedere se ho l'auto parcheggiata sotto e la vedo. Poi rientrato, mi viene un sospetto e guardo di nuovo: la trovo in un altro posto. A quel punto mi dibatto disperatamente finché mi sveglio.]